Una palla di gomma. Racconto d’infanzia calcistica a Cherso e in USA, 1945

Siamo felici di pubblicare un racconto istriano di Guido Petrani, nato a Cherso nel 1940. Le sue parole e le vicende scanzonate ci offrono uno scorcio della vita quotidiana nel primo dopoguerra. Potranno incuriosire non solo il popolo dell’esodo giuliano dalmata, ma anche gli abitanti dell’odierna Cres, della Repubblica di Croazia, appassionati di sport. Ci sono pure un po’ di nomi di una volta, con lievi intrusioni nel dialetto istro-veneto. Guido Petrani, esule a New York, ha scritto questa storia, nel 2015, per il periodico «Comunità chersina». Rari commenti del curatore si possono trovare in parentesi riquadrate. Ecco il suo testo. Lo ringraziamo vivamente per l’invio. (a cura di Elio Varutti).

C’era una volta una palla di gomma, rossa, sbiadita, di circa 15 centimetri di diametro. Quella palla, una delle poche a Cherso subito dopo la guerra, attraeva ragazzi di ogni età a dare due calci. Lo stadio era la piazzetta del Duomo. Le porte erano l’entrata del negozio di alimentari di Romano Padovan e il portone della macelleria Petrani, di proprietà della nostra famiglia. Le linee laterali erano il campanile da una parte, la farmacia Manzolini ed il fruttivendolo dall’altra.

Si giocava di primo pomeriggio quando i negozi erano chiusi. Anche se ero tra i più giovani io giocavo sempre da titolare, perché la palla era mia. Non avevamo campioni da imitare, il mondo dello sport appena si risvegliava dalla guerra, pochi avevano la radio. E quei pochi ascoltavano quasi di nascosto le canzoni di Carlo Buti [come “Violino tzigano”, del 1935].

Non c’erano  molte regole, la legge del più forte prevaleva. Molte partitelle finivano in baruffe. Le uniformi erano i pantaloni corti e la maglietta ereditata da qualche parente. Mi ricordo con affetto Elena Fucich, la nostra cara domestica/padrona/gendarme che gridava dalla finestra: “Disgrazià, ti rompi le scarpe nove che papà te gà portà de Trieste”.

Non so che fine ha fatto quella palla rossa, forse sarà finita al Silos [Campo profughi di Trieste], alla Giudecca di Venezia [altro Campo profughi] con il resto della nostra roba, dopo la partenza. L’italianità della grande maggioranza dei chersini ci è costata l’esodo dalla nostra isola felice. Nel mese di agosto del 1948 è cominciato il nostro pellegrinaggio. Grazie agli zii che ci avevano preceduto in Italia, abbiamo passato solo una notte nel Campo profughi di Udine. Dopo un mesetto a Mestre (VE), a casa di zia Laura e Romano Mitis, ci siamo trasferiti a Legnago, provincia di Verona, a casa di zio Nini ed Anita Petrani.

Passato qualche tempo, papà ha aperto una macelleria. Erano tempi magri per l’economia italiana. Dopo qualche anno, alla domenica mattina, aiutavo papà nella macelleria. Mi ricordo quella povera gente che veniva a comprare solo ossa per fare il brodo perché non avevano soldi per la carne. Papà sempre aggiungeva un po’ di carne alle ossa.

Io non ero mai un bravo studente. Il latino alle scuole medie non mi andava giù. Rosa, rosae, rosam… non era il mio fiore prediletto. Le mie materie preferite erano la Ginnastica, perché si faceva sport e Religione, perché non occorreva studiare e ti davano sempre “dieci”. Grazie alla mia esperienza di chierichetto a Cherso, a Legnago mi ritrovai a servire messa. A questo punto vi devo raccontare che, a quattro anni, la nostra Elena Fucich, domestica/padrona di professione e “basa banchi” di vocazione [ossia: bacia banchi di chiesa], usando la sua influenza sul clero del Duomo, mi ha arruolato nel corpo dei chierichetti. Durante la messa di mezzanotte del Natale mi sono addormentato mentre ero in ginocchio sugli scalini dell’altar maggiore.

Il calcio è sempre stato la mia grande passione. Arrivati in Italia da Cherso, sono rimasto colpito dai nomi dei giocatori del grande Torino. Amavo ascoltare le radiocronache di Nicolò Carosio. Purtroppo ne ho perse tante, perché da bravo chierichetto dovevo essere ai vesperi della domenica pomeriggio. Che sacrifici ragazzi! A volte marinavo i vesperi per andare a vedere le partite di quarta serie del Legnago.

Ogni pomeriggio scappavo a giocare al pallone sull’argine erboso del fiume Adige. Il pallone era di proprietà di Cecconi, figlio del padrone di tre cinema. Era un pallone con i lacci e la camera d’aria con il beccuccio. Quando colpivi la palla di testa ti lasciava un segno e una cicatrice. Tutti dicono che il giorno più bello è quello della prima comunione. Forse. Per me fu il giorno in cui, a dodici anni, ho ricevuto in regalo dai miei genitori il primo paio di scarpe da calcio, marca Valsport. A quei tempi si chiamavano scarpe e non scarpini, come ora.

Erano nere con i lacci bianchi, così lunghi che si avvolgevano tre volte attorno al piede. Quando le calzavo credevo di essere un campione. Di notte le tenevo sotto il letto. Le lustravo continuamente, erano il mio tesoro. La nostra parrocchia, a Legnago, aveva un bell’oratorio, il “Salus”, con un campetto in terra battuta. Io ho sempre preferito fare il portiere. I miei compagni erano: Piero Cera, futuro vice campione del mondo a “Messico 70” con la Nazionale di Valcareggi e capitano del Cagliari, campione d’Italia. Poi ricordo: Paolo Cavattoni, Caio Da Pozzo, Vico Scudellari ed altri bravi giocatori. Il “Salus” ha sempre avuto buone squadre di calcio e di ciclismo.

L’emigrazione negli USA – A 15 anni ero portiere di riserva nella squadra ragazzi (Under 18) che divenne campione Triveneto. A 16 anni, nell’ottobre 1956, la nostra famiglia si trasferì a New York, nel rione Astoria. I miei genitori hanno insistito perché io dovessi continuare la scuola. Dopo due giorni in America, con l’aiuto di una vicina di casa italo-americana, che “tambascava” [parlottava] un po’ d’italiano, ho cominciato a frequentare la “Bryant High School” [Scuola Superiore Bryant] di Astoria.

Qui ho incontrato molti ragazzi emigrati. Il curriculum includeva le classi d’inglese per principianti in più alle solite materie. Per qualche mese ero come “un turco alla predica”, poi pian piano ho imparato l’inglese. Tra i tanti studenti stranieri, ho incontrato Ezio Benvin, da Sbissina, una frazione di Cherso, Salvino Surian da Lussinpiccolo [nell’Isola di Lussino] e Flavio Knesich, da Ciunski [villaggio presso Lussinpiccolo].

Come tutte le “High School” americane la “Bryant H.S.” aveva squadre sportive tra le quali anche il calcio. La maggioranza dei giocatori erano europei e sudamericani. L’allenatore, Mister Berg, non mi fece neanche provare come portiere, aveva bisogno di un difensore e divenni centromediano. Me la sono cavata bene, il secondo anno siamo arrivati secondi nel campionato di New York, che comprendeva più di 50 “High School”. Io fui selezionato per le “All Stars” [Tutte le Stelle, i più bravi].

Ogni fine settimana, con Ezio e Salvino andavamo a lavorare in un ristorante di un Golf e Tennis Club nel Long Island. Lavavo piatti e pentole. Non lo sapevo ancora, ma quello fu il principio di una vita nell’industria ristorativa e alberghiera. Dopo la “High School” ho frequentato il “New York City Community College” e in due anni ho ricevuto il diploma in “Hotel Administration”. Alla sera, dopo la scuola, lavoravo come cameriere in un ristorante a Manhattan. Ho sempre insistito per avere la domenica libera perché dovevo giocare a pallone.

A New York ho giocato con la “Giuliana” e con la “Istria” di Astoria, sempre da portiere. Nel 1963 fui chiamato a fare il militare. Dopo due mesi di addestramento nell’esercito fui selezionato per giocare con la Nazionale militare degli USA. Che bella vita. Vivevo da professionista con la paga di soldato semplice. Ho avuto due allenatori inglesi, ex giocatori di serie della primiere. L’ultimo fu Bill Elliott, mitica ala sinistra della nazionale dei Tre Leoni ai tempi di Stanley Matthews [soprannominato Il Mago del Dribbling]. La mia squadra era di stanza a Stoccarda, in Germania.

Guido Petrani giocava in porta con la Nazionale militare USA contro i colleghi dell’Austria a Vienna nel 1964. Collezione Guido Petrani

Il mio compagno di stanza era Mario Bucci, albonese [di Albona d’Istria]. A New York era il mio migliore amico e compagno di squadra con la “Giuliana” e con la “Istria”. Mario e la sua bella moglie Iris, figlia di toscani, vivono nel Nord Carolina. Il mio sogno calcistico è terminato allo stadio Prater di Vienna contro la Nazionale militare austriaca con il ginocchio destro distrutto. In uscita l’attaccante mi colpì nel calcagno e mi girò il ginocchio. Dopo l’operazione, ho giocato qualche partitella, ma ho dovuto smettere.

Ora mi limito a seguire il calcio in tv. La RAI italiana trasmette sei partite di serie ogni week end. Inoltre molti canali americani mostrano partite da tutto il mondo. Per qualche anno ho allenato squadre giovanili. Ho passato la mia passione alla figlia maggiore Juliana, a mio figlio Eric, che ha preso una borsa di studio all’Università per giocare al calcio. Mia figlia Gaby ha preferito il “Soft Ball” dopo aver provato il calcio per un anno.

Mio nipote Christian ha giocato per qualche anno da bambino. Nella “High School” ha giocato nella squadra di “football” americano, per poi dedicarsi allo sport sedentario di… “Computer science”. La nipotina Ava, di nove anni, ama il calcio ed è brava. Lei gioca anche a basket, pallavolo e lacrosse [il gioco consiste nell’infilare la palla nella porta avversaria lanciandola con uno speciale bastone munito di rete triangolare all’estremità].

Negli Stati Uniti vedi raramente dei ragazzini fare delle partitelle in strada o nei parchi. Dall’età di quattro anni cominciano nelle leghe organizzate. Mia moglie Terry, ex giocatrice di basket alla “High School”, è diventata fan del “soccer” (il calcio in inglese americano) e continua a vedere le partite della nipotina. In ottobre del 2015 è l’anniversario dei miei 60 anni in America. Anche se il mio cuore è sempre chersino ed italiano. L’America è la mia casa e il paese che amo! Il mio ricordo è sempre agli otto anni belli della mia adolescenza a Legnago e dei cari amici legnaghesi. Un ringraziamento speciale va a quella palla rossa sbiadita!

Epilogo – Siamo nel 2023. Io a 80 anni, un mese prima del Covid, ho smesso completamente di lavorare. Ci divertiamo. La RAI italiana ha perso il contratto con la serie A, però le TV americane danno tutte le partite ogni settimana dei maggiori campionati. Questo articolo è stato pubblicato anni fa in un periodico dei Chersini nel mondo. Voglio informare che la mia famiglia consisteva di quattro persone: mio padre Giacomo, classe 1912 [deceduto il 16 febbraio 1981, «L’Arena di Pola»], mia madre Valeria Chiole, classe 1911, io del 1940 e mia sorella Laura, classe 1946. I miei genitori sono nati sotto la bandiera austriaca, io sotto il tricolore italiano e mia sorella sotto la bandiera jugoslava. Tutti e quattro siamo nati nella cittadina di Cherso. Cari amici, questa è la storia della gente di confine.             Guido Petrani

Documento originale – Guido Petrani,  “Una palla di gomma”, testo in Word, New York, 29 agosto 2023, pp. 5.

Nota di cronaca – Il fratello di Giacomo Petrani era il dottor Giovanni Petrani, nato a Cherso, che fu direttore del Consorzio agrario provinciale di Udine, Pordenone e Gorizia fino al 1981. Laureato in Economia e commercio all’Università di Trieste, entrò giovane nell’organizzazione consortile e precisamente al Consorzio Agrario di Pola. Dopo la parentesi bellica trascorse alcuni anni al Consorzio Agrario di Verona, ove in breve raggiunse l’incarico di vicedirettore. Chiamato nel 1954 a Udine, nel 1958 divenne direttore del locale Consorzio Agrario Provinciale. («L’Arena di Pola», n. 2.219, 12 dicembre 1981, p. 7).

Altri cenni bibliografici del curatore – “Lacrime d’esilio. Nostri morti, Giacomo Petrani”, «L’Arena di Pola», n. 2.179, 28 febbraio 1981, p.

Note – Autore principale: Guido Petrani. Progetto e attività di ricerca: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Lettori: Sergio Satti, i professori Ezio Cragnolini e Elisabetta Marioni. Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Fotografie da collezioni citate e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Pubblicato da eliovarutti

Comitato Esecutivo dell'ANVGD di Udine

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